DAI #PAESAGGIUMANI ALL’AGENDA ONU 2030, LE ESPLORAZIONI URBANE DI UN PIONIERE DELLE CULTURE DIGITALI, SPECIALISTA IN ZONE DI TRANSIZIONE
Era il 1986 quando dal mondo Apple arrivava Hypercard, tra i primi Software di programmazione in grado di creare ipertesti, vale a dire un insieme di unità informative anche eterogenee (testo, immagini, suoni, video), connesse tra loro da una rete di parole chiave che ne costituiscono i nodi: un sistema ipermediale, in cui basterà cliccare sui diversi link per attivare i molteplici contenuti. Sarà così possibile dar luogo a percorsi di lettura assolutamente personalizzati in base a finalità, capacità di ricerca e alla curiosità di ognuno. Oggi tutto questo sembra banale ma all’epoca per intercettarne il potenziale e “iniziare a giocarci”, servivano due antenne sensibili come quelle del changemaker, Carlo Infante, che solo un anno dopo (1987), intitolerà un’edizione del suo Festival di Videoteatro e Performing Media “La Scena Interattiva”. Ma chi è Carlo Infante e perchè oggi scelgo di parlare di lui in questo spazio ipertestuale che racconta le storie dalla città contemporanea?
Usando la comunicazione per intervenire sul mondo, Carlo muove da avanguardie politiche e poetiche: ex-giornalista per Lotta Continua, si era impegnato prima nel teatro politico militante sulla scia di agitprop – Agitazione e Propaganda – termine che deriva dalla rivoluzione russa di Majakovskij – per indicare una forma di teatro didattico con lo scopo di stimolare ed “istruire” il pubblico, per lo più analfabeta, agli ideali rivoluzionari: “Già allora – racconta Carlo – con il Collettivo Majakovskij usavamo visioni molto multimediali se vogliamo, attraverso proiezioni e giochi di ombre che si muovevano come marionette e i nostri spettacoli sperimentali hanno girato i teatri di tutta Italia dalla Sardegna a Trieste, dove siamo arrivati nel momento in cui l’Ospedale Psichiatrico diretto da Franco Basaglia si apriva alla città. Poi, tra fine la fine degli anni 70 e l’inizio degli anni 80 è arrivata la radiofonia su RadioTreRai e lì, ho continuato ad impegnarmi in una sorta di diario sonoro, un blog-podcast antelitteram”. Un percorso esplorativo quello di Carlo Infante, sempre proteso in avanti che gli ha permesso di anticipare il pensiero digitale, facendosi interprete e dinamizzatore dell’innovazione, changemaker appunto, andando a creare quelle condizioni abilitanti affinchè ciascuno potesse apprendere la materia e il linguaggio di Performing Media, tanto nelle Università quanto nelle esplorazioni psicogeografiche dei walkabout di Urban Experience, format che avvia a Roma nel 2008. I suoi progetti esplorativi vogliono reinventare lo spazio pubblico tra web e territorio e le nostre relazioni in queste zone di transizione, tra tecnologie digitali e processi cognitivi attraverso i luoghi della città, diversamente attivati dallo sguardo di ciascuno (come in un ipertesto appunto): smartphone in tasca, cuffie alle orecchie per radio in streaming e podcast geolocalizzati, in giro per conversazioni radionomadi.
Walk con Carlo Infante e Sergio Bellucci Pigneto #PiedixTerra_Performing Media
La città è un ipertesto: “Piena di segni, d’incontri improvvisi e casuali che possono cambiare la nostra percezione, simultaneamente – continua Carlo – un’opportunità continua di predisporci all’intelligenza combinatoria, non più schematica ma connettiva, condivisa, come avviene tra sciami d’ api. E in questo il digitale ci aiuta moltissimo. Detto ciò dobbiamo associare il corpo, la nostra palestra di resilienza urbana, sottrarlo agli automatismi del web con l’atto fisico del camminare, pur con le con le nostre estensioni digitali con cui impariamo a giocare per non esserne giocati”. Ma entriamo nel vivo delle Urban Experience con progetti come #PaesaggiUmani per #Contemporaneamente Roma, apripista in quanto a ipertesti: “Il presupposto – ci spiega Carlo – è che i paesaggi oltre le forme architettoniche, hanno un volto espresso dalla stratificazione antropica di chi ha vissuto i territori. Interroghiamo i luoghi per capire come le storie di alcune persone si siano andate ad iscrivere nella geografia, trasformando la città stessa: chiederemo all’Acquedotto Felice la storia di Don Roberto Sardelli. Educatore. Maestro di Strada che tra i baraccati di Tor Fiscale si è fatto portatore di un metodo pedagogico importantissimo, utilizzando il giornale del giorno come strumento per far lezione su qualsiasi cosa”. E in questo rapporto mai preordinato con l’informazione, Carlo Infante si rispecchia, tanto da riconoscervi le radici del suo metodo, l’apprendimento dappertutto: “Un focus è dedicato anche a Renato Nicolini, che con l’ideazione dell’Estate Romana ha trasformato il rapporto dei cittadini con la città meglio di qualsiasi operazione urbanistica. Lui ha colto in pieno le intuizioni delle avanguardie usandole come grimaldello per aprire la città blindata degli anni di piombo, una città chiusa non solo per la coercizione poliziesca. E’ che le persone avevano paura, si trinceravano. Un po’ come avviene oggi con la pandemia, tiriamo fuori tutti i nostri scudi”.
Tor Fiscale Caffarella_#PiedixTerra
Già nel 1997 Carlo Infante è autore di “Educare on Line” per Edizioni NetBooks, nel 2000 Bollati Boringhieri farà uscire il suo nuovo libro “Imparare Giocando” un po’ un manifesto dell’approccio ludico imprescindibile che caratterizza tutte le esperienze professionali e non, di questo pioniere che ci cammina di fianco: “L’innovazione è la messa in forma dell’incognito, spostandosi sempre in avanti ci allena all’incertezza, una palestra”. Nel 2006 invece, sarà la volta di “Performing Media. La nuova spettacolarità della comunicazione interattiva e mobile” con Edizioni Novecento Gec: Performing Media non è altro che un altro modo di usare la comunicazione per fare politica e intervenire sul mondo, è sia un linguaggio che un’attitudine convergente – spiega Carlo – la radiofonia è performing media, le mappe on line interattive sono Performing Media. Il performing media entra anche nell’arte, nel teatro che non dimentichiamoci è stata tra le prime forme di scuola attraverso la mimesi del gesto associato alla parola, attivando i neuroni specchio. Media e corpo. Noi dobbiamo pensare che ogni 18 mesi i sistemi digitali raddoppiano le proprie potenzialità (come afferma la Legge di Moore, inventore del processore INTEL) diventano sempre più piccoli, più sensibili, più performanti. E noi? Ogni 18 mesi rinegoziamo il nostro potenziale?”
E’ sulla base di tutti questi sentieri interconnessi e parole chiave (link) che Carlo traspone i 17 obbiettivi della Agenda Onu 2030 per la Sostenibilità in altrettanti percorsi a piedi tematizzati, si tratta di #Softscience (nome con cui sovente si indicano le Scienze Sociali), progetto che raccoglie passeggiate erranti in luoghi pertinenti dove la ricerca scientifica e i suoi testimoni più autorevoli diventano materia viva, facendo sì che le persone impattino fisicamente con il tema di riferimento. Tra le più sapide destinazioni della seconda edizione appena conclusasi: la Cava Fabretti di Tor Carbone, per esplorare la biodiversità, un luogo in cui la natura ha riconquistato lo spazio negato da una cava di sanpietrini. E quale miglior palcoscenico dell’Acquedotto Felice per trattare il tema dell’acqua pubblica mentre la questione legalità è approdata al Parco della Giustizia in quel della Romanina dopo un dibattito itinerante con partenza da Anagnina, insieme alla Comunità Educante diffusa del VII Municipio di Roma. Tra i banchi del Mercato di Testaccio degustando peculiarità alimentari, il goal cibo è andato sviscerandosi tra la questione della sovranità alimentare e quella della food policy per la città Roma, mentre con gli studenti del Master sulla Complessità Urbana dell’Università La Sapienza di Roma, partner principale di Soft Science, si è arrivati ad indagare il tema del mare, attraversando Ponte di Nona e raggiungendo la via fluviale del Tevere.

Carlo Infante è egli stesso un ipertesto, vulcanico, fluviale, conversare con lui vuol dire navigare tra le rapide di parole e luoghi pregni di significato, volerlo definire professionalmente con un solo appellativo risulterebbe riduttivo ma ho trovato nel verbo di Gilles Clement, il più grande paesaggista francese, parole che ci rimandano a lui in maniera forse più esaustiva (dal libro “Piccola Pedagogia dell’Erba” a cura di Louisa Jones): “La specialità degli specialisti è rimanere confinati nei limiti che gli vengono imposti. Ma come trovare una risposta ad una domanda non circoscritta all’una o all’altra specialità ma a cavallo tra l’una e l’altra? Esistono Scienziati specialisti nelle zone di transizione?”.
La risposta è sì caro Gilles Clement, si chiamano changemaker e direi che ve ne ho appena presentato uno!