Quando la parola di Maometto si specchia in quella di Gesù’… succede a Centocelle
E’ accaduto un anno fa, proprio nel periodo Natalizio, presso la Parrocchia cappuccina di S. Felice da Cantalice nel quartiere Prenestino Centocelle di Roma: il giovane artista romano di origine egiziane Mosa One, dipinge un murales raffigurante, attraverso una personalissima rielaborazione dell’arte calligrafica araba, parte di una citazione del profeta Maometto “Desidera per tuo fratello ciò che vorresti per te stesso”. La risonanza con il comandamento cristiano “Ama il prossimo tuo come te stesso” crea un immediato riverbero d’amore nel lavoro di Mosa che possiamo oggi ammirare sulla parete di collegamento tra la Chiesa e la Casa Religiosa, ristrutturata in parte con la funzione di ostello per i senza dimora.


L’evento è nato in seno ad una consueta iniziativa parrocchiale che da anni, coniugava il classico mercatino natalizio con la musica, il gioco e la polenta, poi man mano che i rapporti con la copiosa comunità musulmana di Centocelle si è andata intensificando, la Chiesa S. Felice da Cantalice e la Moschea Al Huda (La Retta Via) a soli 50 metri dalla Parrocchia, decidono di organizzare la festa insieme e come tutti i più fertili sodalizi partono dalla condivisione a tavola: “Durante il Ramadan – ci racconta il Parroco, Frate Mario Fucà – la comunità musulmana aveva bisogno di uno spazio in cui cucinare i pasti per tutti e noi li abbiamo ospitati nel cortile parrocchiale, sotto una tenda dove abbiamo una cucina da campo. E’ stato così che abbiamo rotto il ghiaccio anche da un punto di vista culinario ed è nata l’idea di Polenta e Cus Cus, la polenta fatta da noi e il cus cus da loro! L’iniziativa prevedeva anche l’intrattenimento per l’infanzia, l’anno precedente, loro hanno portato un prestigiatore che ha tenuto uno spettacolo per i bambini, poi nel 2019 hanno invitato Mosa a realizzare questo murales ed ho pensato che si prestasse benissimo perché nel frattempo avevamo aperto l’ostello. “
Sono stato invitato dall’Imam della Moschea, Mohamed Ben Mohamed, ad esporre le mie tele – racconta Mosa con gli occhi neri che brillano – però poi, ricordando gli spazi della Chiesa dove venivo a giocare a calcio da ragazzino, ho proposto di realizzare un murales. E non mi aspettavo assolutamente che il Parroco potesse accettare, dentro di me pensavo, figurati, con la calligrafia araba poi…non dirà mai di sì. E invece dopo due giorni mi è stato dato l’ok, sono andato a vedere i muri, ho mostrato a Frate Mario un bozzetto e il giorno della Festa ho dipinto ed è stato bellissimo! Quando il Parroco mi ha detto che la citazione che volevo riportare somigliava al comandamento cristiano dell’amore ho pensato, alla fine tutto gira però il messaggio è sempre lo stesso”.


Così senza proclamazioni ed inspiegabilmente senza alcuna eco mediatica, la parola di Maometto arriva sulle ali dell’arte, negli spazi di una Chiesa cristiano cattolica sotto Natale, una prova concreta di dialogo autentico tra culture e religioni, un fatto nato dal basso in un quartiere popolare e di portata immensa, specie se pensiamo che tutto ciò accadeva nello stesso anno in cui il Documento sulla Fratellanza Umana per la Pace Mondiale e la Convivenza Comune veniva firmato ad Abu Dhabi da Papa Francesco e dal Grande Imam di Al-Azhar (Cairo), Ahmad Al-Tayyeb: sigillo di un percorso di riavvicinamento e superamento di steccati ideologici tra popoli, culture e religioni iniziato un secolo prima nell’emblematico incontro tra S. Francesco d’Assisi e il Sultano d’Egitto Al Malik. E non stupisce che una tale fertile sinergia sia fiorita in maniera tanto naturale su un terreno fisico e spirituale, che ha radici ne La Regola di S. Francesco. Nel XVI capitolo infatti, la cosiddetta regola non bollata, viene spiegato come per i Frati che vanno tra persone di diverso credo (nel Medioevo veniva usata l’espressione infedeli) la priorità non fosse il proselitismo, quindi la predicazione del Vangelo, quanto la convivenza pacifica con gli altri: “Oggi collaboriamo con la comunità musulmana a diversi livelli – continua Frate Mario – il territorio è variopinto e ci impegniamo a realizzare iniziative che ci facciano imparare a stare insieme e arricchire l’uno della cultura dell’altro. La maggior parte dei fedeli ha accolto molto favorevolmente il murales di Mosa, poi c’è anche una parte di persone che vive sempre nell’autodifesa, nell’apologia delle proprie posizioni. C’è chi sogna il futuro come ritorno ad un certo passato e chi capisce che ci saranno cose nuove ad attenderci, che richiedono cambiamenti profondi proprio a livello di approccio mentale”


Mosa One nel frattempo sorride entusiasta ed si sente orgoglioso, l’artista ventitreenne con una prima formazione al liceo artistico, inizia il suo percorso sin da adolescente come street artist, nel senso più illegale del termine, per poi iniziare a lavorare anche su commissione, la sua opera più imponente “Per andare Oltre”, veste di colore e mood pop-arabeggiante l’intera facciata di uno dei palazzi di Tor Bella Monaca (Via Quaglia). Oggi Mosa si mette continuamente alla prova tra stili, supporti e tecniche diverse, lavorando anche molto in studio su tela e cimentandosi nell’arte digitale. La calligrafia araba ha rappresentato sin’ora un tratto sicuramente distintivo, seppur non esaustivo, del suo stile in continua sperimentazione: “Prima utilizzavo di più le lettere arabe per costruire forme, adesso sono arrivato a vedere le lettere in se stesse come segni potenti di grande espressività e tendo a non chiuderle più in una forma ma ad aprirle, comporle, scomporle, usarle anche in modo astratto e soprattutto istintivo”.
Un’attitudine che guarda caso, rimanda proprio al Frate cappuccino Ugolino da Belluno, tra i più grandi artisti del 900”, celebratore delle parole attraverso la pittura, come contenessero in ogni singolo segno, prima ancora che nelle sue combinazioni, il mistero stesso del divino e noto soprattutto per aver riportato nell’arte sacra la tecnica del graffito, innovandola attraverso l’uso dei cementi colorati: all’interno della stessa Chiesa di S. Felice da Cantalice infatti, è possibile ammirare, intorno all’apside dell’altare, momenti significativi della vita del Santo patrono della Chiesa in relazione a quanto accadeva nel quartiere di Centocelle e della Città di Roma, una sorta di cronaca artistica che Ugolino da Belluno, (noto a Giorgio De Chirico e Gino Severini) ha ottenuto graffiando stesure di cemento policromo sulle pareti, lavorando spesso in posizioni scomodissime proprio come i più contemporanei artisti urbani.



Riverberi, risonanze, correlazioni nel tempo e nello spazio, tutto parla della stessa cosa: tutto parla d’amore! Buona Natale e buona rinascita a tutti.
Che brava, grazie